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venerdì 30 dicembre 2011

3. COME FUNZIONA L'ESAME DA AVVOCATO?



Il D.M. 28.5.2003 n. 191, che lo disciplina, lo chiama "prova attitudinale per l'esercizio della professione di avvocato" e stabilisce che  "l'esame, da svolgersi in lingua italiana, si articola nella PROVA SCRITTA e nella PROVA ORALE". 



 "La prova scritta consiste nello svolgimento di uno o più elaborati vertenti su non più di tre materie tra quelle indicate nel decreto di riconoscimento quali materie su cui svolgere la prova scritta, di cui una a scelta dell'interessato.
    La prova orale verte su non più di cinque materie scelte dal richiedente tra quelle indicate nel decreto di riconoscimento quali materie su cui svolgere la prova orale oltre che su ordinamento e deontologia professionale".

Il che, tradotto, significa che:
le PROVE SCRITTE sono 3, vengono svolte sui temi formulati dal Ministero della Giustizia in giorni consecutivi ed hanno durata di 7 ore ciascuna.  Esse hanno per oggetto
1) redazione di un parere motivato da scegliersi tra due questioni in materia regolata dal CODICE CIVILE;
2) redazione di un parere motivato da scegliersi tra due questioni in materia regolata dal CODICE PENALE;
3) redazione di un atto giudiziario che verifichi conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale, su un quesito proposto, in materia scelta dal candidato tra DIRITTO PRIVATO, DIRITTO PENALE e DIRITTO AMMINISTRATIVO.

Per la valutazione di ciascuna prova ogni componente della commissione dispone di dieci punti di merito. Alla prova orale sono ammessi coloro che abbiano riportato in ogni prova scritta una votazione minima complessiva pari a 30.

Nella PROVA ORALE bisognerà, dopo una succinta illustrazione delle prove scritte, trattare brevi questioni relative a 5 materie preventivamente scelte dal seguente elenco (almeno una deve essere di diritto processuale):
1. Diritto costituzionale
2. Diritto civile
3. Diritto commerciale
4. D
iritto del lavoro
5. Diritto penale
6. Diritto amministrativo
7. Diritto tributario
8. Diritto processuale civile
9. Diritto processuale penale
10. Diritto internazionale privato
11. Diritto ecclesiastico
12. Diritto comunitario

Deve inoltre essere dimostrata la conoscenza dell'ordinamento forense e delle norme di deontologia professionale.

Sarà un anno impegnativo a quanto pare!!!




2. LA PRATICA FORENSE - Punti cruciali del Regolamento



Prima di parlare della preparazione all'esame di abilitazione alla professione forense e di organizzare un "piano" per la preparazione stessa, riporto le parti salienti del regolamento relativo alla pratica forense per l'ammissione all'esame di avvocato. Leggerlo con attenzione sarà sicuramente utile per chi sta svolgendo la pratica, affinché possa farlo nel modo più proficuo possibile e possa correggere qualche trascuratezza sua o del proprio dominus. Sarà altrettanto utile a chi inizia la preparazione vera e propria all'esame perché potrà colmare attraverso lo studio le lacune lasciate da una pratica frettolosa.

D.P.R. 10 aprile 1990, n. 101 (G.U. 4-5-1990, n. 102) - 

1. Modalità della pratica. - 1. La pratica forense deve essere svolta con assiduità, diligenza, dignità, lealtà e riservatezza.
2. Essa si svolge principalmente presso lo studio e sotto il controllo di un avvocato e comporta il compimento delle attività proprie della professione.
3. La frequenza dello studio può essere sostituita, per un periodo non superiore ad un anno, dalla frequenza di uno dei corsi post-universitari previsti dall'art. 18 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e disciplinati a norma dell'art. 2.
4. Costituisce integrazione della pratica forense, contestuale al suo normale svolgimento secondo le modalità del presente articolo, la frequenza di scuole di formazione professionale istituite a norma dell'art. 3.
2. Corsi post-universitari. - 1. I corsi post-universitari di cui all'art. 1, comma 3, hanno indirizzo teorico-pratico ed i relativi programmi debbono essere conformi a quanto stabilito nell'art. 3, comma 3.

3. Scuole di formazione. - 1. I Consigli dell'Ordine possono istituire scuole di formazione professionale la cui frequenza, ai sensi dell'art. 1, comma 4, integra la pratica forense. I Consigli dell'Ordine del distretto di corte di appello possono istituire, d'intesa, scuole di formazione unificate per tutti o parte degli ordini di ciascun distretto.
2. I corsi delle scuole di cui al comma 1 sono tenuti nell'ambito di un biennio e debbono avere un indirizzo teorico-pratico comprendente anche lo studio della deontologia e della normativa sulla previdenza forense.
3. Il programma dei corsi deve contemplare un adeguato numero di esercitazioni interdisciplinari, su tutte le materie di esame indicate nell'art. 3 della legge 27 giugno 1988, n. 242, condotte da professionisti esperti negli specifici settori operativi e consistenti anche nello studio, l'analisi e la trattazione, da parte dei praticanti e sotto la guida dei docenti, di casi pratici di natura civile, penale e amministrativa. Il programma dei corsi deve essere preventivamente approvato dal Consiglio nazionale forense.

4. Adempimenti dei Consigli dell'Ordine. - 1. I Consigli dell'Ordine accertano e promuovono la disponibilità degli iscritti ad accogliere nei propri studi i laureati in giurisprudenza che intendano svolgere il tirocinio forense e forniscono le opportune indicazioni agli aspiranti che ne facciano richiesta.
2. Gli avvocati abilitati da almeno un biennio sono tenuti, nei limiti delle proprie possibilità, ad accogliere nel proprio studio i praticanti, istruendoli e preparandoli all'esercizio della professione, anche sotto il profilo dell'osservanza dei principi della deontologia forense.
3. È compito dei Consigli dell'Ordine vigilare sull'effettivo svolgimento del tirocinio da parte dei praticanti avvocati nei modi previsti dal presente regolamento, e con i mezzi ritenuti più opportuni.

5. Registro speciale. - 1. Il registro speciale dei praticanti, di cui all'art. 8 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, contiene, oltre alle generalità complete degli iscritti ed alla data di inizio della pratica, l'indicazione dei trasferimenti, delle interruzioni, delle cancellazioni, nonché degli studi professionali presso cui la pratica viene esercitata, con gli eventuali cambiamenti intervenuti.
2. Il provvedimento di iscrizione nel registro speciale è immediatamente comunicato, a cura del Consiglio dell'Ordine, anche al professionista presso il cui studio la pratica deve essere svolta.
3. Il periodo di pratica svolto presso lo studio di un professionista diverso da quello precedentemente indicato al Consiglio dell'Ordine, senza la previa comunicazione scritta al consiglio medesimo, non è riconosciuto efficace ai fini del compimento della pratica stessa e del rilascio del relativo certificato a norma dell'art. 10 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37.

6. Libretto della pratica. - 1. I praticanti avvocati non abilitati al patrocinio debbono tenere apposito libretto, rilasciato, numerato e precedentemente vistato dal presidente del Consiglio dell'Ordine o da un suo delegato, nel quale debbono annotare:
a) le udienze cui il praticante ha assistito, con l'indicazione delle parti e del numero di ruolo dei processi; l'assistenza non può essere inferiore a venti udienze per ogni semestre, con esclusione di quelle oggetto di mero rinvio;
b) gli atti processuali o relativi ad attività stragiudiziali più rilevanti, alla cui predisposizione e redazione abbiano partecipato, con l'indicazione del loro oggetto; c) le questioni giuridiche di maggior interesse alla cui trattazione abbiano assistito
o collaborato. 2. Il libretto della pratica deve essere esibito al Consiglio dell'Ordine al termine di ogni semestre, con l'annotazione del professionista presso il cui studio la pratica è stata effettuata attestante la veridicità delle indicazioni ivi contenute.
3. Il Consiglio dell'Ordine ha facoltà di accertare la veridicità delle annotazioni contenute nel libretto nei modi ritenuti più opportuni.

7. Adempimenti dopo il primo anno di pratica. - 1. Al termine del primo anno di pratica, i praticanti avvocati debbono illustrare al Consiglio dell'Ordine, con apposita relazione, le attività indicate nel libretto della pratica ed i problemi anche di natura deontologica trattati nel corso di tale periodo.
2. Al fine di cui al comma 1, i praticanti debbono depositare presso il Consiglio dell'Ordine il libretto della pratica da essi tenuto.
3. Il Consiglio dell'Ordine espleta gli opportuni accertamenti sulle dichiarazioni del praticante ed ha facoltà di invitarlo ad un colloquio per eventuali ulteriori chiarimenti sul tirocinio espletato.

8. Praticanti abilitati al patrocinio. - 1. I praticanti avvocati abilitati al patrocinio a norma dell'art. 1 della legge 24 luglio 1985, n. 406, qualora, al termine del primo anno di tirocinio, intendano continuare la pratica al di fuori dello studio di un procuratore debbono:
a) comunicare il loro intendimento al Consiglio dell'Ordine nel cui registro speciale sono iscritti;
b) tenere e compilare il libretto della pratica, di cui all'art. 6 del presente
regolamento, con le annotazioni relative all'attività svolta; c) trattare almeno venticinque nuovi procedimenti all'anno, di cui almeno cinque
penali, quali difensori di fiducia, ovvero cinque cause civili di cognizione; d) esibire al termine di ogni semestre il libretto della pratica al Consiglio
dell'Ordine, il quale può accertare la veridicità delle annotazioni nei modi ritenuti più opportuni.

9. Certificato di compimento della pratica. - 1. Il certificato di compiuta pratica di cui all'art. 10 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37, viene rilasciato dal Consiglio dell'Ordine che ha eseguito i previsti accertamenti sull'ultimo semestre completo di attività del praticante avvocato.
2. In caso di trasferimento del praticante, il Consiglio dell'Ordine di provenienza certifica l'avvenuto accertamento sui precedenti semestri e, ove il prescritto biennio di pratica risulti completato, rilascia il certificato di compiuta pratica.
3. Il certificato di cui ai commi 1 e 2 determina la Corte di appello presso cui il praticante può sostenerne gli esami di avvocato.

mercoledì 28 dicembre 2011

1. L'ESAME DI STATO: ORIGINE DI TUTTE LE ANSIE E PUNTO DI PARTENZA PER AVERE SUCCESSO!

     Conseguita la tanto agognata laurea magistrale in Giurisprudenza si entra belli belli e con l'incoscienza delle prime volte in uno Studio legale. Qui tutto dipende, come quasi sempre nella vita, da chi si incontra. La mia esperienza è fortunatissima, e non solo perché sono una persona ottimista! Faccio pratica in uno Studio prestigioso, il mio dominus (così viene chiamato l'avvocato presso cui si svolge la pratica) è appassionato del proprio lavoro, partecipo ad ogni attività dello studio, dal ricevimento dei clienti alla redazione degli atti,  sono presente a tutte le udienze e seguo sia cause penali sia cause civili. Addirittura usufruisco anche di un piccolo rimborso spese! Ci sono anche degli aspetti negativi, naturalmente, per esempio orari e scadenze impossibili, ma in ogni caso, qualunque sia il tuo livello di passione e di buona volontà che metti nell'imparare la professione, qualunque sia il trattamento che ricevi all'interno dello Studio legale, sappi che due anni di pratica passeranno in un lampo. 


    Dopo il primo anno di pratica, nel quale, anche con il massimo dello sforzo, si è capito poco di come il diritto che si è studiato all'Università venga applicato nella vita reale e ancora meno di come si debba svolgere la professione di avvocato, ecco che si fa strada nella mente la consapevolezza che di lì a poco si dovrà sostenere l'esame di Stato.
    Molte leggende vengono tramandate di praticante in praticante ma ciò che se ne ricava è solo una grande ansia, che si ripercuote inevitabilmente nella preparazione all'esame. 
Tutti vorrebbero trovare un metodo di studio miracoloso e belle scorciatoie ma vi assicuro che non ce ne sono. Come per ogni traguardo un po' ambizioso ci serve un buon piano che porti ad un'eccellente preparazione.